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Glossario sulla progettazione sostenibile

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La progettazione sostenibile, che racchiude in sé i diversi concetti di architettura ecologica, bioclimatica e di bioedilizia, cerca di instaurare un giusto equilibrio tra queste discipline e l’uomo, senza differenziazioni tra salute e ambiente. Vengono qui di seguito elencati e chiariti i termini di uso comune in materia.

Genius loci

Il genius loci è una concezione di origine romana secondo la quale ogni essere “indipendente” ha il suo genius, il suo spirito guardiano; questo spirito dà vita a popoli e luoghi, li accompagna dalla nascita alla morte e determina il loro carattere o essenza.

Gli antichi quindi esperirono il loro ambiente come costituito di caratteri definiti. È importante però sottolineare che questo significato simbolico non va inteso come sostitutivo alla conoscenza delle risorse economiche e naturali; lo spirito del luogo al contrario si integra e rende manifeste le risorse e il loro uso. Conoscere la leggenda, lo spirito dal quale il luogo ha preso forma, significa tenere conto che i luoghi costruiti dall’uomo, oltre a fornire ricchezze e beni utili alla vita materiale, sono in grado di suscitare pensieri.

Nei tempi passati la sopravvivenza dipendeva da un “buon” rapporto con il luogo, in senso fisico e psichico; durante il corso della storia il genius loci è rimasto una realtà viva, anche quando non è stato espressamente nominato come tale. Artisti e scrittori hanno trovato la loro ispirazione nel carattere locale e hanno “spiegato” i fenomeni, sia della vita quotidiana che dell’arte, riferendosi al paesaggio ed al contesto urbano.

Linguaggio dei luoghi non significa dunque ritorno a una sorta di panteismo e animismo della natura; gli oggetti costruiti dall’uomo, e posti nella natura, suscitano infatti rapporti imperfetti che si pongono al nostro sguardo in un insieme diversamente comunicante.

Il gesto tecnico dell’uomo che costruisce un qualsiasi oggetto architettonico ci mette in contatto con i codici tecnologici e architettonici usati, ci mostra saperi e artifici che possiamo datare e collocare in un punto preciso del tempo; è ovvio quindi che il processo di conoscenza di un luogo è un’esperienza multiforme, che non può avvenire in un istante.

L’uomo moderno ha per lungo tempo creduto che la scienza e la tecnologia lo avessero liberato da una dipendenza diretta dei luoghi; questa “certezza” si è rivelata un’illusione; l’inquinamento ed il caos ambientale sono improvvisamente apparsi come una spaventosa nemesi, con il risultato di ricondurre alla sua piena importanza il problema del luogo.

Paradossalmente, ciò che forse ha contribuito al formarsi di questo stato di cose è che i luoghi non possono appartenere a nessuno, sono un bene collettivo, di cui l’uomo crede di potersi appropriare nel momento in cui “abita un luogo”.

Quando un uomo abita è simultaneamente localizzato in uno spazio ed esposto ad un certo carattere ambientale.

Norberg Schultz sostiene che identificarsi con un ambiente significa diventarne “amici”: per secoli l’uomo si è identificato con l’ambiente naturale immergendosi in esso, al contrario l’amicizia con l’ambiente naturale del cittadino moderno è ridotta a rapporti frammentari.

L’identità dell’uomo presuppone l’identità del luogo; identificazione e orientamento sono aspetti primari dello stare al mondo. È un dato distintivo dell’uomo moderno quello di avere per lungo tempo esaltato la condizione di nomade; voleva essere “libero” e conquistare il mondo; oggi invece si comincia a comprendere che la vera libertà presuppone l’appartenenza, e che “abitare” significa appartenere ad un luogo concreto. L’uomo quindi abita quando ha la capacità di concretizzare il mondo in edifici e cose.

Il problema della creazione, recupero e rinnovamento dei luoghi è uno dei temi centrali dell’odierna rifondazione di un sapere e di una prassi operativa per l’architettura e l’urbanistica: promuovere, unitamente alla conservazione dei luoghi superstiti, una dinamica del mutamento che, a partire dai caratteri del luogo, ne concretizzi l’essenza in contesti, entro certi limiti, sempre rinnovabili, senza perdere però lo spirito del “genius loci originario”.

Il luogo rappresenta un’entità in divenire mai definitivamente conclusa, che nel tempo si trasforma con maggiori o minori congruenze ambientali rispetto al sito: il luogo si precisa, si evolve e spesso si impoverisce e si annulla in favore di uno sviluppo dissennato o insipiente.

Il luogo, come entità in divenire, può essere paragonato ad un supporto mai neutro che sta “prima di noi” e “davanti a noi”, una sorta di palinsesto in cui spesso ogni autore scrive la sua storia, un altro la cancella per riscrivere cose analoghe o completamente diverse.

Prima di iniziare a progettare ogni architetto dovrebbe effettuare uno studio accurato all’interno del quale “l’assimilazione” dell’area di intervento diviene fondamentale per la comprensione di tutti gli aspetti: tradizione, clima, morfologia, ed ancora, studi bio-ecologici relativi agli aspetti geologici, energetici ed elettromagnetici, agli effetti dell’antropizzazione, gettando così le fondamenta per la concretizzazione, per un progetto nuovo e allo stesso tempo rispettoso dello spirito del luogo.

I fondamenti dell’Architettura sono insiti nel luogo, nell’ascolto e nella lettura del sito; è comunque indiscutibile che ogni opera di autentico valore percorre un iter nel quale convergono da una parte la sostenibilità di chi progetta e dall’altra l’identità del luogo che il nuovo intervento andrà inevitabilmente a modificare.

È dunque importante evidenziare la necessità di una strategia progettuale sensibile alle differenze specifiche di ogni singola e individuale condizione; inoltre i risultati conseguibili tramite un progetto che si sviluppi a partire dal riconoscimento dell’importanza del contesto non appaiono univoci e scontati poiché la soggettività è propria del talento valutativo che accompagna ogni lettura del reale.

Architettura ecologica

Si tratta dell’espressione più diffusa riferita all’architettura “ambientalmente responsabile” (dove intendiamo per architettura = arte del costruire; eco = oikos = ambiente). Dicitura di origine anglosassone, accoglie molte delle problematiche poste dall’architettura bioclimatica, ma imposta l’asse della qualità architettonica e urbana essenzialmente intorno a problemi di salubrità, occupandosi delle cause dell’inquinamento interno degli edifici, studi ai quali in Italia hanno contribuito ambiti connessi con la medicina del lavoro.

Vi è quindi una confluenza con principi relativi alla sostenibilità ambientale delle scelte e con temi economici e di programmazione generali, mentre si mantengono in ombra le componenti più psicologiche, filosofiche ed umanistiche. Più recentemente, sulla scia delle direttive indicate nel 1992 dalla Conferenza ONU sullo Sviluppo Sostenibile, l’espressione “architettura ecologica” tende ad essere sostituita dall’espressione “attività costruttiva sostenibile”, con più evidenti riferimenti agli aspetti socio-economici posti dalle emergenze ambientali globali. Volendo indicare le tematiche più specifiche dell’architettura eco logica, queste sono riferibili a: inquinamento indoor; ciclo di vita dei materiali e dei componenti; comportamento energetico degli edifici e delle soluzioni tecnologiche; valutazione economica delle varie fasi del processo edilizio e del suo impatto ambientale; riuso e riciclaggio dei materiali; ricerca di materiali e soluzioni alternative rispetto a sostanze rivelatesi dannose per la salute o per l’ambiente (amianto, Cfc, ecc.).

Architettura bioclimatica

Sino dagli inizi del nostro secolo si può ritenere che l’architettura, tanto nei suoi aspetti tecnologici quanto in quelli morfologici e formali, sia stata condizionata dalle specificità climatiche dei luoghi in cui essa si realizzava.

Successivamente è prevalsa la convinzione che gli edifici potessero essere costruiti indistintamente con identiche caratteristiche per qualsiasi condizione climatica, assegnando agli impianti il compito di realizzare le condizioni di benessere all’interno degli ambienti. La crisi energetica degli anni settanta ha però indotto ad un ripensamento sulla necessità di correlare i caratteri tipologici e tecnologici degli edifici con le caratteristiche climatiche del sito e con l’uso di risorse energetiche rinnovabili.

L’architettura bioclimatica si occupa dello studio delle soluzioni tipologiche e delle prestazioni dei sistemi tecnologici che rispondono maggiormente alle caratteristiche ambientali e climatiche del sito, e che consentono di raggiungere condizioni di benessere all’interno degli edifici.

Tali obiettivi vengono perseguiti attraverso un’attività progettualmente consapevole nell’uso delle risorse disponibili. Da un simile approccio si possono massimizzare i benefici ottenibili mediante l’impiego delle energie rinnovabili e, in particolare, dall’uso dell’energia solare, riducendo al minimo l’apporto degli impianti alimentati con fonti energetiche non rinnovabili.

Infatti, ottimizzando l’irraggiamento solare e l’energia contenuta nell’aria degli ambienti interni si possono raggiungere notevoli guadagni termici, inoltre, l’attenta progettazione secondo le condizioni climatiche e lo sfruttamento delle fonti naturali, comporta notevoli vantaggi anche per quanto riguarda l’illuminazione, la ventilazione e il raffrescamento degli edifici.

Gli edifici “bioclimatici” sono opere architettoniche in genere caratterizzate dall’utilizzazione di componenti e/o sistemi edilizi che, oltre ad esplicare la loro funzione specifica, sono anche in grado di assolvere funzioni energetiche, ossia di captare, accumulare, conservare e restituire l’energia termica trasportata dai raggi solari.

Altro obiettivo dell’architettura bioclimatica è quello di raffrescare naturalmente gli edifici, a mezzo di tecniche di espulsione del calore indesiderato verso dissipatori di calore “ambientali” (aria, cielo, terra e acqua), con l’ausilio di metodi naturali di trasferimento del calore.

Infine, un edificio con caratteristiche di progettazione bioclimatica prevede l’ottimizzazione nell’uso della componente luminosa dell’energia solare. Il fine è quello di sfruttare il più possibile l’illuminazione naturale negli ambienti, sostituendola a quella di tipo artificiale mantenendo al tempo stesso un buon livello di comfort visivo.

A partire dalla fine degli anni ’70 l’utilizzo dei criteri bioclimatici è stato oggetto di un’ampia stagione di sperimentazione a livello europeo, con scambi intensi di esperienze e finanziamenti da parte dei governi nazionali e della comunità europea.

Questa sperimentazione, che ha coinvolto un numero elevato di progettisti ed operatori dell’edilizia e del mondo dell’università, ha avuto il grande merito di produrre un ripensamento metodologico, recuperando le regole antiche del costruire legate al microclima locale e ad altre risorse locali disponibili e ponendo fine ad una cultura progettuale dissipativa. Lo prova il fatto che oggi, a distanza di molti anni dall’avvio delle prime esperienze in questo campo, l’efficienza energetica di un edifico semplicemente rispettoso della legislazione vigente è superiormente o quantomeno non inferiore a quello di un analogo prototipo bioclimatico realizzato all’inizio degli anni ’80. Nonostante ciò, non si può ancora affermare che il tema energetico abbia trovato un posto abituale nella prassi progettuale ed urbanistica: ancora troppo contradditori sono i risultati acquisiti.

Se quindi esistono le premesse per inserire i criteri bioclimatici nella progettazione corrente, le esperienze acquisite sono, allo stato attuale, troppo limitate per riuscire a trovare uno sbocco su vasta scala.

Negli ultimi anni si è però determinato un interesse nuovo sia verso il tema del risparmio energetico che verso il tema ambientale in senso lato, e ciò ha spostato il baricentro della questione da un ristretto ambito di specialisti a un pubblico assai più allargato. Non a caso il tema ha ripreso vigore e si sono moltiplicate esperienze a tutto campo che testimoniano un rinnovato interesse da parte sia dei progettisti che del mondo delle costruzioni; lo testimoniano sperimentazioni che oggi spaziano dall’utilizzo di criteri bioclimatici alla recente introduzione di criteri progettuali innovativi e sostenibili nei regolamenti edilizi e negli strumenti di pianificazione urbanistica.

Bioedilizia

Il termine bioedilizia viene frequentemente utilizzato per indicare materiali, processi e metodi edilizi rispettosi della salute degli abitanti, possibilmente di origine naturale ed a basso impatto ambientale. Nasce come traduzione del termine tedesco “baubiologie” utilizzato dall’istituto Indipendente di Ricerca fondato nel 1976 a Neubern (Germania) a sostegno di un “costruire biologico”. L’Istituto, ancor oggi attivo, pone alla base della propria filosofia lo studio degli esseri viventi in relazione alle costruzioni ed agli ambiti edificati.

Da un punto di vista ideologico la concezione risente di atteggiamenti contestatari ed antisistema sviluppatisi alla fine degli anni ’60 e pone l’idea forte che l’involucro edilizio sia assimilabile ad una terza pelle la quale, insieme all’uomo, è nel cosmo e con esso deve, per la salute e la sopravvivenza, mantenersi in equilibrio.

A questa concezione contribuiscono alcuni studi, poco riconosciuti dalla scienza ufficiale, circa il ruolo giocato dalle forze elettromagnetiche naturali presenti nella Terra e nel Cosmo sullo sviluppo della vita, le incidenze del magnetismo terrestre sulla salute umana, le relazioni tra salute e abitazioni, gli effetti dei singoli materiali e sostanze artificiali nelle costruzioni, la recuperata attenzione ad antichi criteri di lettura del territorio mantenutisi vitali sino ad oggi quali ad esempio la rabdomanzia.

Vengono poi recuperati gli studi e le analisi sulle incidenze nocive ed aggressive dei materiali di sintesi; si dedica attenzione alle conseguenze sulla salute umana del gas radon, fenomeno al tempo ancora poco conosciuto; si teorizza un paesaggio ad inurbamento diffuso in cui l’uomo possa vivere nel verde e in maggior contatto con la natura. Nel frattempo confluiscono nel patrimonio culturale della disciplina sia studi e approcci progettuali preesistenti, come quelli dell’architettura organica ispirata dalle teorie antropomorfiche di Rudolf Steiner (1861-1925) sia, in funzione della rivalutazione di sistemi costruttivi appartenuti alla tradizione, un’attenzione al regionalismo vernacolare.

Il merito principale dell’idea biologica è quello di aver spostato l’accento dell’oggetto costruito all’uomo che lo abita, occupandosi quindi delle condizioni di benessere fisico ma anche psichico delle persone in rapporto alle abitazioni e ai luoghi su cui queste sono edificate (forze magnetiche naturali, elettrosmog, emissioni nocive, forma e disposizione degli spazi, luce naturale e colori, simboli e significati). Si arriva così ad una consistente manualistica di tipo prescrittiva, soprattutto in lingua tedesca, ricca di ricette ed elenchi scrupolosi per la scelta dei materiali e l’individuazione delle tecnologie più biocompatibili.

Il “Decalogo” dell’edilizia sostenibile

Il Gruppo di lavoro ha ritenuto di individuare, a titolo preliminare, le dieci regole fondamentali della bioedilizia, intendendo enunciare con ciò i principali obiettivi ispiratori per chiunque intenda avvicinarsi a questa disciplina.

I dieci principi, suddivisi in specifici gruppi consequenziali, sono stati predisposti al fine di guidare l’elaborazione di scelte normative regionali o locali e di strategie di programmazione delle politiche della casa. Tali principi sono da considerarsi in sintesi priorità strategiche con le quali attivare una serie di processi ed azioni rivolte al raggiungimento di obiettivi specifici per l’edilizia sostenibile.

Con l’individuazione di dieci principi in materia di bioedilizia si è inteso delineare una serie di elementi cardine necessari per orientarsi nell’attività edilizia mirata ad uno sviluppo urbano sostenibile e ad un miglioramento, nel suo insieme, della qualità dell’abitare. Questi principi guida si pongono l’obiettivo, al fine di produrre effetti concreti in materia edilizia, di guidare il processo di elaborazione di scelte normative regionali o locali e di indirizzare gli enti verso una programmazione ed una attuazione delle diverse politiche per la casa. Tali principi sono da considerarsi priorità strategiche per le quali attivare processi ed azioni tendenti al raggiungimento di obiettivi specifici per l’edilizia sostenibile.

I dieci principi sono stati raggruppati in tre principali aree d’intervento. La prima area (principi 1-3) riguarda il contesto dell’abitare; la seconda (principi 4-6) il manufatto edilizio; la terza (principi 7-9) investe più propriamente l’utilizzo del manufatto stesso. Il decimo principio si riferisce alla necessaria azione per la diffusione dei principi e dei criteri finalizzati ad una nuova e diversa cultura del progetto.

Ogni principio dovrebbe essere accompagnato dall’individuazione dei principi obiettivi che si intendono raggiungere attraverso scelte condivise e consapevoli.

  1. Ricercare uno sviluppo armonioso e sostenibile del territorio, dell’ambiente urbano e dell’intervento edilizio;
  2. Tutelare l’identità storica delle città e favorire il mantenimento dei caratteri storici e tipologici legati alla tradizione degli edifici;
  3. Contribuire con azioni e misure, al risparmio energetico e all’utilizzo di fonti rinnovabili;
  4. Costruire in modo sicuro e salubre;
  5. Ricercare e applicare tecnologie edilizie sostenibili sotto il profilo ambientale, economico e sociale;
  6. Utilizzare materiali di qualità certificata ed eco-compatibili;
  7. Progettare soluzioni differenziate per rispondere alle diverse richieste di qualità dell’abitare;
  8. Garantire gli aspetti di “Safety” e di “Security” dell’edifico;
  9. Applicare la domotica per lo sviluppo di una nuova qualità dell’abitare;
  10. Promuovere la formazione professionale, la progettazione partecipata e l’assunzione di scelte consapevoli nell’attività edilizia.
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